Un re tra i fichi di barbaria
(Il gatto-lupesco)
Appena messomi in cammino incontrai due cavalieri della corte di re Artù che mi chiesero: “Chi sei?”.
“Ma come non vedete – risposi io – sono un gatto lupesco, voi, piuttosto, dove vi state andando tanto di fretta?”
“Siamo cavalieri di Bretagna e veniamo dal Mongibello (Etna), vi siamo stati per scoprire la verità sul nostro re Artù, che abbiam perduto e non sappiamo dove sia andato. Ora torniamo nel reame d’Inghilterra. Vi salutiamo, ser gatto, voi con tutto ’l vostro fatto».
Un sogno per essere tale deve avere degli elementi fantastici che si mescolano tra loro, deve sconcertarci almeno un po’, perché possiamo interrogarci su di esso, perché al risveglio possiamo domandarci: ma cosa mai vorrà dire? E così questo antico racconto in volgare fiorentino, ci parla di uno strano medioevo alla ricerca del “miscuglio giusto”.
Cosa mai ci faranno dei cavalieri inglesi sulle strade di Sicilia? E cosa sarà mai un gatto-lupesco? Ogni rinnovamento parte innanzitutto dall’accettazione del miscuglio. Ad esempio, nel momento in cui si sono costituite le lingue locali, i poeti che hanno dato origine a queste lingue (il catalano, il veneto, il provenzale…) hanno cercato di marcare la loro identità mescolando generi letterari diversi in modo da costituire un messaggio che fosse loro peculiare. Un’identità nasce in questo modo: costruire il nuovo accentando la sfida del miscuglio. Sarà il tempo a riportare ordine!
Il gioco del nostro racconto è tutto pensato su questo paradosso. Un re famoso che si è perduto dall’altra parte del mondo, come potremo riportarlo a casa? Assumere le caratteristiche di un gatto e di un lupo, non sembra un’idea troppo buona: il gatto, si sa, è ruffiano e il lupo assetato di vendetta. Parrebbe quasi non esserci cosa più pericolosa, meglio non incontrare un animale di questo genere se si è da soli.
Eppure è questa la buona notizia del sogno; è questa la buona notizia che ci viene trasmessa da questo racconto antico, nato forse per divertire, ma soprattutto per dirci che, in quel XIII secolo, in cui andavano affermandosi le identità e le culture locali, era rimanendo dentro il grande calderone del possibile, delle eventualità e delle speranze, che si sarebbe potuta trovare la forza per costruire una cultura nuova. I popoli, in quegli anni, si trovano sulla soglia, là dove il coraggio ci porta a sognare spiazzanti composizioni. “Si prende qualche scaglia di drago, si mescola con qualche pelo di pipistrello e poi due uova di gallina…, ed ecco che la nostra pozione è fatta!”, si leggeva una volta nei vecchi manuali delle streghe. La forza della loro azione nasceva dal miscuglio inatteso, dalla sorpresa delle parole che ritrovavano la forza di essere possibilità aperte.
Ho sognato questo strano gatto-lupesco e ho sognato che re Artù perdeva ancora la sua terra, era nascosto in mezzo ai fichi di barbaria, si riposava all’ombra di un albero di arance. Rimanendo nel gran calderone del possibile anche il gatto-lupesco, quella strana creatura, ha trovato la sua più profonda identità!