Non nominare il nome di Dio invano
...una scia per la felicità...
«Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano» (Dt 8-11)
Detto così appare una esortazione a non bestemmiare o comunque è ciò che è stato insegnato dal catechismo della Chiesa. In realtà è un insegnamento che nasconde in sé una straordinaria profondità che ora proverò a trasmettere dopo approfondito studio e secondo un’interpretazione intuitiva.
Ciascuno di noi dalla nascita e nel corso della crescita si scopre dotato di determinati talenti, capacità e attitudini. Queste sono doti di carattere energetico. Insieme a ciò, ogni individuo, si trova inserito in un pianeta ricco di infiniti stimoli che lo inducono talvolta ad utilizzare con egoismo o superficialità i propri talenti.
Tenendo sempre presente che Dio, il nostro Creatore, ha donato tutto ciò di cui disponiamo, nel momento in cui viene meno o manca il nostro credo in Lui, paura o rabbia ci inducono a credere solo in ciò che vediamo e tocchiamo, rinneghiamo Dio, ossia lo nominiamo invano, idolatrando quello che di Dio non ha nulla
Il suggerimento di Dio è rivolto all’attenzione di non idolatrare niente e nessuno intorno a noi. Nella realtà l’uomo ha creato classi di importanza in ogni situazione – lavorativa, sociale, ambientale, animale, minerale – talvolta declassando il potere e la potenza di Dio. Tutto ciò di cui disponiamo ha un proprio valore o una certa importanza. Molte persone vengono considerate più importanti di altre; ad esempio il Papa, ogni ordine di sacerdozio, un re o capo di Stato, un ricco rispetto a chi non lo è, pietre, metalli preziosi, denaro e così via, rendendo di fatto quello che sembra un banale comandamento, il consiglio al quale porre una più profonda attenzione. Perché vale la pena comprendere il motivo di questo suggerimento? In questo comandamento che si dovrebbe conoscere nella sua forma originale, Dio dice che fa ricadere le colpe dei padri nei figli fino alla terza/quarta generazione, mentre dimostra il suo favore fino a 1000 generazioni per coloro che lo amano. Possiamo chiederci il perché di questa divergenza…
Ciascuno di noi è unico e nasce dotato dei talenti necessari al proprio percorso evolutivo e incontra nel proprio cammino altre anime che lo inducono a sfidare i propri conflitti per riuscire a superarli. Spesso l’uomo, nella propria fragilità, tende a proteggere la propria dignità ed il proprio orgoglio, sopravvalutando e decantando le proprie abilità, togliendo così potere e valore ai propri talenti.
Dio ci dice che “se non ritorneremo come bambini non entreremo nel Regno dei cieli”, che può significare che le cose che facciamo più sono ingenue più sono vere e acquistano valore. La purezza di un bambino permette di agire e di esprimersi con totale genuinità: non guarda ad una vittoria ma agisce nella gioia del cuore.
Quando una persona sopravvaluta le proprie innate facoltà o al contrario ingigantisce le proprie disarmonie, quando si permette di “sedersi ai primi posti” ha già elevato a dismisura il concetto che ha di sé, positivo o negativo, rendendo banali le proprie virtù.
Proseguendo con qualche esempio posso dire che nella nostra società esistono i giuramenti: un sacerdote giura, un’insegnante giura, un giurato giura, un sovrano o un capo di stato giura e così di seguito; il che significa porre un limite alla propria libertà di essere, nel tempo, diverso da ciò che è in questo momento. Gesù dice: “Io sono colui che sono”, tradotto dall’ebraico, “Io sono colui che c’era, che c’è e che ci sarà”. Sono l’infinito, l’eterno, ma pronto a camminare, sollevare, redimere stando accanto ad ogni anima.
Affrontare e vivere il deserto significa darsi la possibilità di sorprendersi di se stessi, non porre limiti alla propria volontà di evoluzione interiore. Se la persona riesce a non farsi nessuna immagine di sé né di ciò che gli sta intorno, può stupirsi ogni giorno per ciò che scopre di sé.
Non è un linguaggio semplice da comprendere. In presenza, con esempi concreti è più facile, ma concentrandosi un po’, si può riuscire a penetrare nel meraviglioso e importante contenuto di questo suggerimento di Dio.
Quando ci si muove in una dimensione politica abbiamo davanti degli idoli esistenti o defunti, persone incastrate in una loro immagine; questi sono un esempio di scultura, alla quale in realtà ciascuno di noi si sente sottomesso.
Quando una persona commette un’azione negativa, questa con assoluta certezza sì ripresenta per tre/quattro generazioni; quando invece una persona crea qualcosa di positivo necessario all’evoluzione, questa si diffonde e appaga fino a 1000 generazioni.
Dio è tale per tutti i viventi, del ricco o del povero del sapiente o dell’ignorante, del grande o del piccolo, del bello o del brutto: Dio, attraverso Mosè, ha consegnato una legge affinché ogni vivente, indipendentemente dal proprio credo, possa scegliere la strada per giungere nella Sua Gloria: Riusciamo noi cristiani a vivere correttamente questo comandamento? La risposta viene dalla nostra felicità…