Clan Verdurin: nutrimento culturale
A casa di Lia e Flaminio De Martin
A Santa Maria di Feletto, sulle rinomate Colline del Prosecco, appena fuori dalla città che ha dato i natali al Cima, si trova un luogo magico, dove pare che il tempo si sia fermato.
C’è un casale lungo la strada. Si capisce che una volta quello doveva essere il centro della vita del paesino. In effetti era una bottega, dove si faceva rifornimento di beni di prima necessità. Ma questo lo apprendo solo in seguito.
Quel che intanto mi colpisce è il giardino: oltre al meraviglioso affaccio sui vigneti, noto delle installazioni artistiche. E poi, sui muri, degli affreschi, anche una meridiana.
Escono i proprietari: due anziani signori, mi accolgono con una genuinità d’altri tempi. Loro sono Lia e Flaminio De Martin. Novantenni.
Entro in casa e resto a bocca aperta. Una cucina rustica che sa di pane e poesia, bottiglie di vino personalizzate, tavoli, panche e sedie a esprimere sconfinata ospitalità, tovaglie forse scambiate per tele da dipingere, pareti tappezzate di quadri, articoli di giornali, e poi libri disseminati in ogni dove, e firme a segnalare passaggi importanti…
Sì, perché qui, a casa di Lia e Flaminio, sono passati, negli anni, scrittori, attori, registi, scultori, pittori, critici d’arte, giornalisti, filosofi… Nomi e volti noti. Per citarne solo alcuni: Alberto Moravia, Mario Soldati, Goffredo Parise, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Carlo Bo, Claudio Magris, Piero Dorazio, Alberto Sordi, Walter Chiari, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Federico Fellini, Stefania Sandrelli, Ornella Vanoni, Bobby Solo. E ancora Lina Wertmüller e Rodolfo Sonego, Lionello Puppi, Toni Toniato, Vittorio Sgarbi, Stefano Zecchi, Pietro Coda, anche papa Giovanni XXIII.
Tra queste pareti son nati saggi su cui ho studiato, poesie che ho appuntato da qualche parte e amo rileggere di tanto in tanto, trame di film che hanno fatto la storia del cinema italiano…
E voi? Lo sapevate, voi, che in questa terra di mezzo tra l’Adriatico e le Alpi, tra i dolci declivi del Felettano, ci fosse un luogo deputato all’incontro di artisti e intellettuali di caratura nazionale?
Ebbene sì, mi trovo nello storico cenacolo culturale che prende il nome da un’opera di Marcel Proust: Clan Verdurin.
Resto di stucco.
Tocco con mano quello che per me finora era soltanto un concetto: cultura. Non quella posticcia da museo, non quella enciclopedica da biblioteca. Ma proprio quella che sa di humus, terra. Sì, perché non c’è cultura senza colere. Un prodotto culturale è anzitutto un’opera “colturale”: nasce se si coltivano amicizie, gusti, passioni, saperi, talenti, intuizioni…; e questa casa è un vero e proprio luogo di coltura.
La prima opera “colturale” è quella dei coniugi De Martin, che han saputo disegnare, con semplicità e simpatia, un’oasi aperta «a tutti i molti amanti delle cose belle». La loro casa permetteva di stabilire una convivialità, che andava a rafforzare i legami e a stimolare la creatività.
Perché, si sa, davanti a un piatto fumante e a un bicchiere di vino si ragiona meglio. Ci si scambiano confidenze e si toccano le questioni più vere. Si attinge ai colori dell’anima e si riconoscono o ridefiniscono o immaginano i contorni di ogni cosa.
Se Flaminio, mente raffinata, s’intratteneva con gli ospiti in lunghe e animate conversazioni, Lia, mano operosa e mai stanca, deliziava i convitati con i suoi piatti. I segreti della sua cucina sono confluiti poi in un ricettario, di cui mi fa dono: in ogni piatto, oltre a ritrovare il sapore della grande tradizione culinaria veneta, c’è il riflesso, più o meno velato, di alcuni dei personaggi a cui è stato amorevolmente dedicato, secondo gusti personali e inclinazioni.
Promuovevano poi premi, mostre, pubblicazioni, performances. Erano degli instancabili animatori culturali, lui con il suo inconfondibile aplomb, ironia e baffetti da personaggio proustiano, lei con quella sua simpatica verve e operosità contagiosa.
Sulla loro esperienza è stata scritta addirittura una tesi di laurea (Ca’ Foscari, Venezia).
Sono contenta di averli conosciuti, perché una coppia così, è patrimonio prezioso.
Patrimonio prezioso è anche questo luogo, in via Pianale 61. In molti dovrebbero passare, entrare, fermarsi. Per quello che ha rappresentato e può ancora rappresentare. Ce ne fossero, oggi, luoghi in cui la cultura è – veramente – di casa!