Sant’Augusta: itinerario, spirituale e fisico, di fede
In questi giorni, a Vittorio Veneto, sta prendendo vita la secolare festa di Sant’Augusta, una figura che ha subito un martirio ripetuto e una serie di ingiustizie rese, se possibile, ancora più strazianti, perché hanno trovato origine in famiglia.
Patrona di Vittorio Veneto, per la precisione della zona di Serravalle, sovrastata dal Santuario a lei dedicato, secondo la leggenda era figlia del re goto Madrucco che scelse per lei il nome Augusta, in segno di buon auspicio. Dopo la nascita, infatti, la madre morì e la piccola crebbe sul monte Marcantone (quello dove si trova il Santuario) con la nutrice Cita, che non mancò di trasferirle la fede cristiana, praticata di nascosto da molti Serravallesi, sfidando la persecuzione del re barbaro, suo padre, fino a prepararla al battesimo in gran segreto. La giovane cercava anche di mettere in pratica gli insegnamenti cristiani, tra preghiere e gesti di carità, come raccogliere il pane avanzato alla propria mensa per darlo ai più poveri. Un giorno, tuttavia, avviandosi giù per il ripido sentiero che porta verso la stretta di Serravalle, trovò proprio il re, che le chiese cosa portasse nel grembiule. Lei rispose che si trattava di fiori di campo per i poveri, per non svelare al padre la sua missione e usare comunque una valida metafora agli occhi del Signore. Il re, sospettoso, volle verificare, e proprio dei fiori trovò, in quello che è un primo miracolo, oggi testimoniato a metà della salita che porta al santuario da un ciottolo grande, lucido per l’usura e per il tocco di tanti pellegrini. Dopo quell’episodio, i sospetti di Matrucco si infittirono, la figlia non seguiva il culto delle divinità, non partecipava alle feste di palazzo e rifiutava le prime offerte di matrimonio, senza considerare quella continua ricerca di fuga dal castello. La fece seguire da un fedele servo che ne scoprì il fervore cristiano. Da lì inizio il martirio della principessa, che rifiutò di rinnegare la fede e fu chiusa da subito in prigione. Il giorno successivo il confronto con il padre fu ancora più aspro e questi decise di ricorrere alla tortura, in un crescendo di crudeltà: le fece strappare dei denti. Poi, per quanto debole, dal momento che non cedeva alle sue imposizioni, la condannò al rogo. Qui avvenne un secondo ed evidente miracolo, poiché il fuoco non le nuoceva. Accecato dall’orgoglio ferito, il re fece preparare una ruota con punte di ferro taglienti e ricurve, uno strumento di tortura destinato a lacerare le membra, ma questa si spezzò, secondo la leggenda per l’intervento di un angelo. Così Matrucco, aggrappato al suo mostruoso credo, decise di decapitarla. Una scelta che gli fece ottenere il risultato cercato, ma che lo condannò per sempre e, consumato dal dolore, non si diede più pace.
La breve vicenda terrena di Santa Augusta si è svolta in epoca remota, quando l’impero romano stava per tramontare e i Barbari iniziavano il loro movimento migratorio verso le regioni mediterranee, più ospitali e fertili. Non visse a lungo, ma quanto seminò ed è arrivato fino a oggi è la magnitudine della fede di fronte alla pochezza dei moti terreni. Oggi, il percorso che porta al Santuario è scandito da sette cappelle, finite di costruire nel 1642, quasi tappe penitenziali prima di giungere al traguardo. Inoltre, alla Santa, i fedeli ricorrono per ottenere, in particolare, la guarigione del mal di capo e di schiena.
Il 22 maggio 1754, su istanza del vescovo di Ceneda Lorenzo Da Ponte, il Papa Benedetto XIV, con apposito “Decreto” della Congregazione dei Riti, approvò solennemente il culto di Santa Augusta. La sua festa è il 22 agosto e viene celebrata a Vittorio Veneto con una importante fiera a cui partecipano decine di migliaia di persone provenienti dal circondario per assistere ai fuochi d’artificio, la cui nomea supera i confini della città, non quanto, tuttavia, quella della Santa, arrivata, tramite i tanti emigranti della zona, fino in Brasile.