Che cosa fa la differenza?
Scuola - 1
Qual è la funzione della scuola?
Quelle di passare informazioni statiche, che mentre le offriamo sono già superate perché la ricerca è sempre un passo più avanti, e l’innovazione pure?
O quella di fornire canali, vie di ricerca multiple, in modo che ognuno trovi la sua strada e la sua modalità di camminare nella vita, di ricerca in ricerca, perché le soluzioni sono sempre nuove per la persona che le compie?
La scuola potrebbe essere il laboratorio che offre possibilità per allenare alla ricerca di soluzioni a domande, che per certi versi sono anche antiche, ma che sono sempre nuove, perché la persona che se le pone è diversa da quella di tempo fa, è diversa anche in se stessa, di giorno in giorno.
Potrebbe essere lo spazio-tempo in cui si pongono domande, non dove si ricevono risposte preconfezionate e univoche.
L’evento dove l’interrogazione non è la verifica della pratica dello studio, ma il punto d’inizio dell’apprendimento che di domanda in domanda, di confronto in confronto, di ricerca in ricerca, da soli e insieme, ma favorisce l’elaborazione di soluzioni rispondenti all’oggi, pronti anche a lasciarle perché quelle successive sono più rispondenti a quello che siamo diventati nel frattempo.
Ma i maestri e le maestre di ogni grado quale comprensione hanno di tutto ciò?
Che cosa si propone alla loro attenzione in una scuola che dopo aver lasciato “ieri” il sussidiario per fornire una varietà di testi dove ragazzi e ragazze possano attingere le loro conoscenze anche secondo gli interessi, ora punta al digitale come soluzione di tutto?
Ci si chiede che tipo di progetto si proponga la scuola nella sua funzione educativa e di apprendimento, a che tipo di persona, di ragazzo e ragazza pensi nelle sue proposte?
Quale visione di apprendimento e quindi di didattica è suggerita nella formazione offerta dei docenti, considerando che nella scuola fin da piccoli, ragazza e ragazzo devono allenarsi a trovare risposte adeguate a problemi che ancora non conoscono quali saranno, pensarle, trovarle, e se occorre anche inventarle?
Nel tempo siamo passati dall’inchiostro, alla penna biro, al tablet, strumenti diversi, utili, certo, ma solo “strumenti”, se non “animati” da scelte di procedure rispettose e di contenuti significativi.
Per procedure rispettose penso a una didattica che allena competenze, non che le passa, cosa impossibile.
Dopo anni di approfondimento e di ricerca, la definizione cui mi sento più vicina è la seguente:
competenza è conoscenza, quindi sapere,
agita, quindi abilità,
in un contesto sociale definito, quindi relazioni.
Tipica della competenza è la sua trasferibilità. Se noi puntiamo su una sola di queste tre dimensioni, è chiaro che non abbiamo la competenza. Essa è l’insieme delle tre parti e anche molto, molto di più.
Ma perché questo si realizzi, è necessario pure il contesto, lo scenario che rende possibile l’allenamento.
Le ricerche degli ultimi anni hanno evidenziato come, fin da piccoli, bambine e bambini devono essere accostati all’ambiente che li circonda, per imparare a conoscerlo e rispettarlo e prendersene cura.
Ecco lo scenario dove realizzare l’allenamento, libro aperto cui la scuola può attingere a piene mani: la natura.
Per fortuna, capita che ci sono insegnanti, a volte, ma non sempre, solitari, che l’hanno intuito, che praticano una didattica che unisce l’esperienza pratica con la concettualizzazione delle conoscenze, con un apprendimento dei concetti forti delle discipline attraverso il fare, l’immergere le mani nella terra.
Vedremo in seguito alcune esperienze di “scuola attiva”, perché, nonostante tutto ciò che si dice, “è possibile… certo”, e questo fa la differenza.