Inquisitori o scienziati?
Una delle competenze più interessanti che si possono apprendere alla Scuola di Counselling Situazionale consiste nel saper osservare quanto avviene intorno a noi (e dentro di noi…) con occhio critico, lucido e imparziale.
È quella che chiamiamo “osservazione da scienziato”, perché lo scienziato è interessato ai fenomeni per comprendere come accadano e quali siano i meccanismi che li sottendono, in modo da poterli prevedere, governare ed orientare.
Si tratta di uno speciale tipo curiosità che non rimane fine a stessa ma che trova moltissime applicazioni nei più svariati ambiti quotidiani, compreso quello lavorativo, dov’è utilissimo quando insorgono problemi ed imprevisti.
È l’atteggiamento opposto a quello dell’inquisitore, che cerca un capro espiatorio a cui scaricare la responsabilità, considerando l’imprevisto come “qualcosa che non doveva succedere” e deve quindi puntare il dito su qualcuno a cui dare la colpa.
Facciamo un esempio: in azienda chiama un cliente scontento, che si lamenta della qualità del servizio e minaccia di chiedere un risarcimento o di cambiare fornitore. Fatti come questo sono chiaramente spiacevoli: il sentimento di sgradevolezza può diventare rabbia e spingere chi la prova a scaricarla sul malcapitato di turno (solitamente un subalterno) e iniziano così la caccia alle streghe e la molto comune catena dello scarica-barile, in cui ciascuno si giustifica indicando un collega come responsabile della malefatta. Il risultato è che il clima di lavoro si appesantisce, il cliente rimane insoddisfatto e l’immagine dell’azienda risulta compromessa.
Se però nella catena di ruoli e mansioni c’è qualcuno che assume un atteggiamento da scienziato, allora l’evento imprevisto può diventare persino un’opportunità: anziché procedere ad accuse e delazioni, il gruppo di lavoro si concentra sulla ricostruzione dei passaggi che hanno determinato il problema, cercando di comprendere dove e perché si sia verificato l’intoppo; nessuno viene sottoposto all’inquisizione, ma piuttosto si coglie l’occasione per strutturare nuove prassi, correggere i processi e formare gli operatori affinché l’inghippo non si verifichi nuovamente.
Per fare tutto ciò servono un po’ di tempo, la padronanza delle proprie reazioni emotive e la capacità di fare domande senza giudicare ed essere aggressivi; ma lo sforzo ripaga, perché nessuno si sente colpevolizzato e tutti possono anzi partecipare attivamente al percorso di correzione. Il cliente, infine, ottiene chiarimenti e risposte circostanziate, e magari la garanzia di riparazione nei tempi più brevi possibili (per inciso: la corretta gestione dell’errore è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente alla fidelizzazione del cliente).
Un atteggiamento non comune, ma che si può apprendere e che può fare la differenza. Un atteggiamento che cambia la domanda generale da “chi è il colpevole?” a “cos’è successo?”, con sensibili benefici per il clima generale e la qualità del lavoro.
dott. Marco Napoletano
(Direttore Scuola di Counselling Situazionale di Conegliano)