Tra sfide e abilità
Il caso di Gabriele
Gabriele è un tredicenne alto un metro e una lattina con un’energia travolgente che sfoga nel suo sport preferito: il basket!
All’inizio dell’estate il suo entusiasmo è a mille: lo aspetta un mese intero di Basket Summer Camp, organizzato dalla società sportiva con cui gioca da anni.
Per giorni mi stordisce con i suoi racconti: goduriose partite, canestri epici e allenatore figo. Poi il suo raccontare si fa meno concitato e gradualmente la smania di condividere avventure lascia il posto ad un piatto elenco delle cose fatte durante il giorno. “Ci sta, la novità diventa quotidianità e l’entusiasmo scema”, penso io.
Ma l’altro giorno mi dice che ha abbandonato il Summer Camp ad una settimana dalla fine.
Quando gli chiedo cosa sia successo, Gabriele risponde laconico: “Non so, mi sono stufato, cioè, una noia e mi ero rotto di vincere sempre”. E prosegue: “Mi piace vincere, ma così è troppo facile. Gli altri non sono tanto bravi e… non c’è gusto. Volevo fare il pivot, così diventavo bravo anche in quello, ma l’allenatore mi ha fatto fare solo l’ala piccola perché dice che in quel ruolo me la cavo meglio”.
Tanto era oscuro per me il significato di pivot e ala piccola, tanto mi era chiaro cosa avesse spento l’entusiasmo: Gabriele aveva perso il gusto della sfida, perché ciò che gli veniva proposto era al di sotto delle sue abilità.
Situazione, quella descritta, di cui ogni allenatore ha fatto esperienza; esempio della incapacità dei ragazzi di impegnarsi a lungo termine, commenterà qualcuno.
Può darsi, ma è tutto da dimostrare, mentre è certo che in questa vicenda facciamo i conti con il rapporto tra sfide e abilità, aspetto di cui si è occupato lo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi. Tanto il suo nome è impronunciabile, quanto il suo schema illuminante: ha collocato sfide e abilità sugli assi cartesiani e ha individuato alcune situazioni di vita derivanti da carenza o abbondanza delle due variabili.
Ecco che l’esperienza vissuta da Gabriele, dotato di capacità medie e posto di fronte a sfide basse, è quella della noia, perché lo stimolo è insufficiente rispetto alle abilità disponibili.
Sicuramente e ancor più frequentemente, allenatori ed educatori in genere hanno vissuto anche lo scenario opposto: il ragazzo che perde la motivazione perché si trova ad affrontare sfide troppo elevate rispetto alle sue capacità. In questo caso, infatti, vivrà sentimenti quali preoccupazione ed ansia e tenderà a mollare il colpo per non sentirsi inadeguato.
Motivazione – senso di autoefficacia – autostima: un circolo potenzialmente virtuoso e che si auto alimenta quando le sfide che dobbiamo affrontare sono sufficientemente alte per essere stimolanti e sufficientemente basse per essere affrontate.
Quando si tratta di bambini e ragazzi, l’adeguatezza del rapporto sfide-abilità è nelle mani di chi, a vario titolo, riveste ruolo educativo: a noi il delicato compito di calibrare i compiti proposti e, al contempo, di stimolare l’accesso alle capacità e risorse personali.
dott.ssa Michela Camerin
(Docente Scuola di Counselling Situazionale di Conegliano)