Una vita sulle rotelle
Una campionessa del mondo Responsabile di Specialità della nazionale italiana: intervista a Silvia Marangoni
14 mondiali sempre sul podio, 11 volte campionessa del mondo di pattinaggio su rotelle (specialità inline), 11 Campionati europei vinti, un palmares unico e una carriera da sogno. Il suo primo oro iridato nel 2002 ai Campionati mondiali di Wuppertal, l’ultimo a Cali nel 2015, dell’atleta delle Fiamme Azzurre c’è solo da leggere dei suoi grandi traguardi!
Di chi stiamo parlando? Di Silvia Marangoni, opitergina di nascita ma possiamo dire cittadina del mondo per i suoi successi internazionali. La sua è una storia fatta di successi ma in primis di impegno, dedizione, tenacia e sacrificio, tantissime vittorie ma anche cadute e risalite, ben descritta nel libro biografico “Con le rotelle quasi a posto”, arricchito dalla prefazione di Federica Pellegrini. Una carriera sportiva stellare, una vita sulle rotelle che l’hanno fatta volare nell’olimpo mondiale e che oggi l’hanno portata ad indossare un’altra maglia azzurra ambita, quella di Responsabile di Specialità Inline della nazionale italiana.
A distanza dal tuo ultimo titolo mondiale, sei mamma di Achille e tecnico della nazionale italiana di pattinaggio. Che effetto fa stare a bordo pista?
Non è stato facile passare dalla prima linea alla seconda linea, che poi seconda linea non è, sotto ruoli completamente diversi. Stare a bordo pista è comunque responsabilità verso gli atleti, verso la Federazione ed è quintupla, perché quando sei atleta sei artefice del tuo destino, invece quando sei allenatore puoi subire il destino, nel senso che puoi solo stare a guardare e sperare che l’atleta esegua al meglio delle sue capacità il programma. Quindi fa un effetto stranissimo ma al tempo stesso dà grandissime soddisfazioni.
Essere alla guida della nazionale italiana è il sogno di molti campioni e anche in questo tu ci sei riuscita. Com’è Silvia come Responsabile di Specialità Inline? Ci racconti questo legame molto forte che hai con la maglia azzurra?
Coordinare un gruppo non è mai semplice, far sì che anche i ragazzi si trovino bene e siano a loro agio. Creare un clima positivo è impegnativo ma loro sono davvero fantastici, sono dei ragazzi d’altri tempi e quindi fanno presto ad andare d’accordo e a creare questo clima molto positivo. Il talento è sicuramente importante, ma non basta: il gruppo fa la differenza.
Il legame con la maglia azzurra è speciale, perché ho indossato la maglia azzurra a nove anni, un anno in anticipo, ed è sempre stata una magia, perché comunque tu rappresenti la tua nazione e quando sei sul gradino più alto del podio porti su quel gradino tutta la tua nazione e quindi hai una responsabilità immensa e mi ha sempre resa orgogliosa portare la mia nazione nelle competizioni di altissimo livello.
La tua prima volta sulle rotelle?
Non me la ricordo, perché ero molto piccola: avevo tre anni. Ho delle foto che mi ricordano la mia prima volta, ed ero simpaticissima (me lo dico da sola!); poi il racconto di mia mamma e anche di mia sorella, perché ho cominciato a pattinare grazie a mia sorella Susy: avevo proprio voglia di questi pattini, e San Nicolò, quell’anno, mi ha portato i miei primi pattini. Mia mamma dice sempre che deve aver fatto una gran fatica a trovarli, perché ho sempre avuto il piede piccolo, piccolissimo! Ho le foto di quando ho indossato quei primi pattini, ed ero felice, veramente felice.
Qual è per te l’oro più bello?
Sono tutti i più belli, perché ogni oro è una storia a sé. Ogni campionato davvero è sempre stato molto particolare e molto speciale per un motivo o per un altro. Posso dire il primo e l’ultimo più degli altri, però tutti hanno avuto un valore molto molto speciale.
Hai scritto un libro autobiografico di grande successo che inizia con il racconto di una sconfitta: da qui parte il viaggio dentro la tua carriera. Ci spieghi questa scelta?
Parto con questa scelta di raccontare una sconfitta perché bisogna sempre capire che dalle sconfitte, dalle cose negative si può trarre un beneficio: bisogna sempre trovare il lato positivo anche quando tutto rema contro. Sono sempre stata così in qualsiasi scelta di vita. Qualsiasi cosa mi sia capitata non proprio piacevole ho sempre imparato la lezione, mi ha sempre lasciato qualcosa e da lì l’ho trasformato in un atteggiamento positivo: come posso migliorare, come posso far sì di non ricadere in quell’errore? Ho sempre fatto questa trasformazione, anche perché nel pattinaggio si cade molto per imparare, si sbaglia, è quindi un po’ una palestra di vita. Perché dalle cadute ci si rialza. Ma come? Più forti di prima! E quindi con una consapevolezza in più. Io penso sia un messaggio da dare a chiunque, dai giovani ai meno giovani, a chi è in difficoltà o meno, perché dalle sconfitte, dai brutti momenti, si può venirne fuori, meglio di prima, più forti di prima, più consapevoli di prima. Quindi niente ci può fermare: siamo noi gli artefici del nostro destino e dobbiamo essere sempre molto consapevoli di quello che ci succede nella vita.
Qual è il tuo motto nello sport e nella vita?
Il mio motto è ovviamente crederci sempre e mollare mai! Perché qualsiasi cosa tu faccia nella tua vita personale o lavorativa ci devi credere in quello che fai, altrimenti non porterai mai a termine in maniera eccellente quello che stai facendo. Il lavoro paga sempre. È un fattore di testa, prima che di talento. Si tratta di un’attitudine al sacrificio, al lavoro, alla lealtà. Questa è la via non solo per vincere, ma per essere dei campioni nello sport ed anche e soprattutto nella vita.
E ai giovani che si avvicinano allo sport e sognano una carriera come la tua, che consiglio dai?
Il consiglio che mi sento di dare è che devono avere grinta ed entusiasmo nella vita, passione; che per ottenere dei risultati, in qualsiasi sport e in qualsiasi ambito, devono lavorare e lavorare, perché solo il lavoro e l’allenamento ti portano ad avere dei risultati. Come diceva Carl Lewis, “c’è solo un modo di vincere che è quello giusto, c’è solo un modo di allenarsi che è quello giusto”. E bisogna veramente dare anima e corpo a quello in cui crediamo, perché altrimenti è inutile cominciare le cose: bisogna farle fatte bene, le cose! Io c’ho creduto fin dall’inizio, ho sempre avuto dei grandi sogni nel cassetto e piano piano ho aperto questo cassetto e li ho fatti venir fuori. Però non mi è arrivato niente per caso, ho sempre lavorato duro per far sì che questi sogni diventassero realtà.
(Intervista realizzata per noi da Eleonora Bottecchia)