Maschere
Parlando di varietà tra le piante e gli animali, tra i territori e luoghi abitati, non possiamo dire che essa manchi tra gli esseri umani: di forma, di colore, di pensiero, di cultura e di credo.
Siamo tutti figli di una storia comune dell’umanità, ma ciascuno agisce a partire da una sintesi, a volte misteriosa alla stessa persona, mettendo in scena una storia personale. E per questo ci presentiamo l’un l’altro con le “maschere” che nel tempo ci costruiamo, a volte per schermarci, altre per occultarci. Maschere che, a poco, a poco, ricoprono tutta la nostra persona come una maglia di rete, l’usbergo dei Cavalieri di un tempo, o come il carapace di una tartaruga che nel tempo si fa dura. Su quest’ultimo possono poggiare anche i piedi, ma essa resiste, è fatta apposta per difendere l’essere che vi abita.
È alla varietà dell’ambiente, anche a quello antropizzato, costruito dall’uomo adattandolo alle sue esigenze, che attingo per i tipi di persone.
Esiste la persona roccia, monolitica, liscia, che non si lascia scalfire se non da una goccia a volte non visibile, che nel tempo, lenta, lenta, la segna. Ti può dare sicurezza per la sua solidità, ma anche generare insicurezza per la freddezza che rimanda. Essa non ci permette di accedere al suo nucleo centrale, così nascosto sotto i profondi strati che nel tempo si sono sedimentati su di lei fino a renderla compatta, inamovibile. Sembra autosufficiente, bastante a se stessa, ma veramente lo è?
C’è poi la persona castello, chiusa, respingente. Tu sei sotto, chiami, ma ti raggiungono palle di pietra che ti stendono o l’olio bollente versato da un gran pentolone; appoggi una scala alle mura, ma per una piccola spinta ti ritrovi a terra. Protegge, ma pure separa. Se la raggiungi, all’interno puoi scoprire la sua ampiezza e il calore, la sua capacità di custodire. Pare inespugnabile, ma veramente lo è?
La persona canna ti dà fiducia per la sua flessibilità ed essenzialità, ma scopri anche il suo essere controllata. Trae la sua flessibilità dal
terreno dove si radica, per quei sotterranei fili d’acqua che lo percorre, ma è capace di superare i tempi di secca. Quale brezza devi essere accanto a lei per poterla attirare a te senza spezzarla?
È voragine la persona simile a quella spaccatura nel terreno che come bocca spalancata divora tutto. Sembra uno spazio di accoglienza, ma poiché non vi è voragine che restituisca quanto inghiottito, la persona voragine prende senza dare, risucchia energie, annulla le differenze tra essere ed essere assimilandolo. Come accostarsi per vedere senza perdere se stessi?
Tornado è la persona che nasce briosa, ma che, dimenticando di appoggiare i piedi a terra, aumenta il movimento inizialmente gradevole, e, girando su di sé, ingloba quanto incontra con una forza cui non è facile resistere. È piacevole all’inizio, ma se non avverti il pericolo della sua escalation nel tempo, se non mantieni gli occhi aperti, ti trovi risucchiata, sradicata. Come starle accanto rimanendo differenziati?
La persona lago alterna fasi di quiete e di burrasca. Piacevole stare nella prima, un po’ meno nella seconda, se non hai luogo in te in cui proteggerti! Le sue acque quiete inducono la distensione, ma un vento improvviso le può innalzare e ti trovi nella burrasca. Come il lago questa persona ha spazi di acqua stagnante, paludosa, che devi imparare a conoscere per mantenerti al sicuro. Devi porre attenzione pure ai vortici che attirano al fondo! Ma non è forse bello nuotare nelle acque calme o solcarle con piccole imbarcazioni?
Rovo è la persona infestante, invadente, pettegola, che copre tutto, il bello e il brutto, anche i pericoli. Non permette ad altro di vivere se non piegandosi alle sue regole. Ci presenta un paesaggio uniforme, quasi senza vita, ma grande è il fermento sotto, anche se per il sole non è facile penetrarvi. Come superare le spine che tengono distanti tutti?
“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo”,[1] così scriveva Tiziano Terzani.
[1] Un Indovino mi disse – T. Terzani