In osteria con Pierangelo Beccaro
Ci sono luoghi che parlano. E poi c’è l’arte a fare da megafono: cattura la luce, accende particolari, rende vivo il tempo sospeso…
Così è l’ultimo lavoro di Pierangelo Beccaro: una scena tutta veneta. Siamo in un’osteria. Al tavolo, due signori. Tra di loro, un bicchiere di vino, un bianco, che dà il titolo al quadro.
Quadro che è documento. Chissà se i figli dei nostri figli sapranno ancora cos’è un’osteria… Semplicità e genuinità di un luogo, in cui andare a ombre è pura espressione di socialità, una dichiarazione di amicizia e di solidarietà, che passa anche in maniera silenziosa, semplicemente condividendo uno spazio, un tempo, un’ombra.
CURIOSITÀ | Si pensa che il termine con cui si indica il calice di vino, ombra, prenda il nome dall’abitudine, da parte dei vignaioli, di vendere il vino all’ombra del campanile di San Marco, su bancarelle ambulanti che poi spostavano seguendone l’ombra, per mantenere la bevanda sempre fresca. I venditori si chiamavano “bacari”, termine che si conserva nella tipicità delle osterie veneziane che deriva probabilmente dall’antica espressione dialettale veneziana “far bacara”, cioè far festa in nome di Bacco.
Sulla scia ebbra del bon vin si sviluppa l’osteria, che diventa un punto di ritrovo consolidato non solo per i paesani ma anche per i viandanti che qui possono trovare piatti caldi e alloggi. L’osteria diventa così espressione di ospitalità oltre che di socialità. E scrigno di storie.
Proprio un’osteria ci accoglie, per la presentazione dell’opera dell’artista vazzolese Pierangelo Beccaro. Siamo a pochi passi da Borgo Malanotte, un piccolo borgo rimasto immutato come per incanto sin dal ‘600 nella campagna trevigiana percorsa dal fiume Piave in quel di Tezze a Vazzola. Proprio al suo interno, un’osteria della tradizione, l’Osteria al Cortivo, dove si respira l’atmosfera rustica e genuina di un tempo grazie alla gestione familiare di Gioachino.
Qui l’artista presenta alcuni suoi lavori, tra cui l’ultimo, dedicati a far assaporare angoli di Veneto autentici, custodi di una storia intensa e generosa, proprio come il vino che oggi lo ha reso famoso in tutto il mondo (di cui Pierangelo Beccaro, peraltro, è fine conoscitore ed estimatore, in quanto fondatore della Confraternita del Raboso del Piave).
Così, nell’arte di Pierangelo Beccaro troviamo non solo l’osteria, ma anche paesaggi riconoscibili della campagna veneta, molti dei quali già non ci sono più, perché han fatto posto all’urbanizzazione che avanza. La mano e lo sguardo dell’artista sono mossi da una certa sensibilità, come se lo sforzo fosse quello di tenere accesi luoghi, momenti, valori in quadri che son pieni di luce e di colore. Certe cromie non riescono se tu quei luoghi/momenti/valori non li vivi! Ed è chiaro, guardando i suoi quadri, che in quelle scene dipinte Pierangelo Beccaro c’era.
Era in quell’osteria, nel momento in cui la luce del sole faceva capolino dalla finestra e quei due seduti aspettavano forse una seconda ombra di vino; intanto c’era un bianco.
E poi ancora tra i filari rossi e gialli di Glera lui c’era, sul bivio in cui il Monticano incrocia il Vazzoletta è passato, ed ha pure calpestato quel luogo verde in zona San Fris che ora non c’è più perché serviva più strada…
Pierangelo Beccaro c’era. Non solo fisicamente, ma anche con il cuore e con la mente.
E nell’arte riversa un po’ di nostalgia, quella di chi sa che quello che oggi vede e tocca è destinato a tramontare, fragile bellezza che il tempo porta via e tramuta all’incalzare della modernità. Così è la natura, così è la tradizione.
Ma i toni accesi sono un invito: a cercare, scoprire, custodire. Perché certi luoghi/momenti/valori hanno ancora molto da dirci. E quando tutto sembra franare o non sapere da che parte andare, sono (e possono restare) un punto fermo a cui guardare.
Foto di Eugenio Gobbo