Il museo che non c’è
Come fa un museo a esistere senza avere le persone che si aggirano tra le sue sale?
Strano ma vero, questa condizione decisamente particolare è diventata realtà in quel di Torino dove è nato il primo museo che si visita interamente a distanza, o, se preferite, in maniera virtuale.
Gli ingredienti per la sua nascita sono stati tre: la tecnologia, una collezione di arte ragguardevole e uno spazio che si prestasse allo scopo.
Per il primo aspetto è stata coinvolta un’azienda specializzata nella progettazione e sviluppo di contenuti e applicazioni 3D. Inutile dire che il progetto, nato prima del covid, ha subito, proprio grazie a questa circostanza, una decisa accelerazione.
Una volta trovata la tecnologia giusta, però, quali opere mostrare?
La risposta a questa domanda è stata altrettanto semplice perché il progetto ha potuto e può beneficiare della ricchezza della Fondazione De Fornaris che annovera dipinti, sculture e fogli di grafica raccolti nell’arco di una vita da Ettore De Fornaris.
Fino alla nascita del museo virtuale, infatti, le opere, grazie a un accordo con la Gam – la Galleria di Arte moderna di Torino – venivano esposte a rotazione fino a quando si è deciso che era giunto il momento di dare alle opere lo spazio e l’attenzione che meritavano.
Stiamo parlando di un patrimonio che annovera nomi come Pellizza da Volpedo e Giorgio Morandi, solo per citarne alcuni e che abbraccia l’arte di due secoli, l’Ottocento e il Novecento.
Ma come funziona una visita virtuale?
Vediamo di scoprirlo insieme: si approda su una pagina del sito internet che permette di utilizzare o il proprio computer portatile o una app; si fa la propria scelta quindi si specifica la lingua della visita, a scelta tra italiano e inglese. A questo punto le proposte per il visitatore sono due ovvero la visita a 360°delle sculture poste all’esterno della moderna struttura della Gam o la visita al museo vero e proprio dove il primo ambiente è dedicato proprio a Ettore De Fornaris e alle prime 46 opere che sono state donate al museo torinese nel 1978. Soffermandosi su ciascuna è possibile sia ingrandirle con la funzione zoom sia leggere una didascalia che le racconta brevemente. La sala 2 presenta l’Ottocento con opere di Francesco Hayez tra cui un inedito “Angelo annunziante” che brilla per la sua veste di un azzurro intenso e per la delicatezza del fiore che stringe tra le dita fino ad arrivare a Pellizza da Volpedo passando per i ritratti di personalità di spicco del nostro Risorgimento a cominciare da Massimo D’Azeglio.
Con lo spazio tre siamo già nel Novecento e lo spettatore è accolto da una serie di ritratti femminili pre-futuristi che spaziano da Balla qui presente con un delicato ritratto femminile dove la luce la fa da padrone a Casorati passando per la pittrice piemontese Evangelina Alciati che si era specializzata nel ritrarre le panificatrici al lavoro. In questa sala a catturare la mia attenzione sono i nomi delle opere a cominciare da una “Natura morta con salame” di Giorgio De Chirico per poi passare a una “Natura morta romantica” ovvero un bicchiere nel quale sono immersi cinque fiori di colore rosso affiancati da una conchiglia dai riflessi perlacei, opera di Filippo De Pisis.
La visita prosegue con una serie di ritratti realizzati a Torino tra le due guerre per poi continuare con la pittura degli anni ’40 – ’60 con le nature morte di Morandi e i quadri destrutturati di Burri. Chiude questa carrellata una sezione dedicata all’arte contemporanea dagli anni ’60 a oggi.
Alla fine, l’esperienza è proprio quella della visita in un museo e forse del museo perde un po’ l’atmosfera ma si tratta comunque di un esperimento che promette bene.