La speranza non delude
L’apertura dell’anno giubilare mi fa riflettere sul tema della speranza a partire da un tema su cui sono già tornato altre volte, quello della cosiddetta Crociata dei bambini. Riconoscere infatti che “ogni cosa è chiamata alla gioia” è forse la prima tappa di quel cammino di liberazione che passa attraverso il riconoscersi fratelli nel bisogno.
“Io, povero Goliardo, miserabile chierico errante per i boschi e per le strade a mendicare il mio pane quotidiano, nel nome di Nostro Signore, vidi un pio spettacolo e udii le parole dei fanciulli. Ho avuto paura quando ho visto tutti questi bambini. Senza dubbio Nostro Signore li difenderà. Parlo a caso, perché sono pieno di gioia. Rido della primavera e di quello che ho visto. Riempivano la strada come uno sciame di api bianche. Non so da dove provenissero. Erano piccoli pellegrini. Avevano bastoni di nocciolo e di betulla. Avevano la croce sulle spalle; e tutte queste croci erano di molti colori. Ne ho visti di verdi, che dovevano essere stati fatti con foglie cucite. Vanno verso Gerusalemme, perché la fine di tutte le cose sante è nella gioia”. (Marcel Schwob, La crociata dei bamibini, 1896)
Così comincia il racconto in cui lo scrittore francese Marcel Schwob narra in una pluralità di voci la mitica Crociata dei bambini, cioè quell’insieme di fatti reali e leggendari che gli antichi documenti registrano intorno al maggio del 1212.
Quello che mi interroga del suo racconto è il tentativo di legare l’episodio e il sogno di questi fanciulli con le parole di un vecchio chierico vagante, testimone del passaggio di questa variopinta crociata.
Prima di tutto quello che emerge è il tema di una fraternità comune portata dal bisogno. Il chierico si interroga infatti sulla fragilità dentro cui tali fanciulli si trovano, aprendosi poi al tema della speranza, data dal riconoscere la chiamata di tutte le cose ad aprirsi alla gioia. Accettare la condizione comune del tutto, nella semplicità del cuore e nella semplicità, apre, secondo Schwob, la porta della speranza e della gioia.
Mi impressiona riflettere su questo testo proprio nel momento dell’apertura dell’anno giubilare dedicato alla speranza. Mi pare qualcosa di molto appropriato, da un lato perché questi bambini a loro modo cercano di partecipare ad un pellegrinaggio e come dice la bolla di indizione del Giubileo “Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità” (Papa Francesco, “Spes non confundit” Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, 5).
Dall’altro questo piccolo racconto di Schwob illumina un altro aspetto dell’anno giubilare, quello della possibilità di ricercare la speranza nei segni dei tempi, mettersi cioè in movimento per cogliere i germogli nuovi della vita, là dove essa sta fiorendo. Questo sembra infatti il segreto della speranza, che è come la nostra ancora gettata tra le onde. È lei che dona stabilità e sicurezza alle cose.
La speranza, ben più grande delle soddisfazioni di ogni giorno e dei miglioramenti delle condizioni di vita, ci trasporta al di là delle prove e ci esorta a camminare senza perdere di vista la grandezza della meta alla quale siamo chiamati. Correndo il rischio di avanzare nella gioia, proprio come i fanciulli del 1212, che il vagabondo di Schwob osservava con ammirazione e stupore. Essa ci invita a camminare verso la vita, verso la gioia.