SENTIRE O ASCOLTARE? TRA SENTIRE E ASCOLTARE
Negli anni di lavoro a scuola, ho spesso riflettuto, con bimbi e bimbe, sul significato del verbo “ascoltare”, confrontandolo con “sentire”.
Ci siamo accorti che quest’ultimo rimanda ad una occasionalità associata ad una percezione, mentre ascoltare sottolinea un’intenzionalità e un’attenzione.
Nel linguaggio corrente usiamo varie espressioni per dire l’ascolto: “Mi sento ascoltato“, ed è lo sguardo orientato e la postura del corpo che me lo rimanda; oppure “Tendo l’orecchio” sollecitata da un suono, una voce, una parola, a cui presto attenzione; “Ascolto con il cuore“, per dire che “ci sono” in un dialogo in cui tutta la mia persona si apre all’altro; “Ascolto profondamente“, e, cioè, mi apro cogliendo le parole non dette, i bisogni e i desideri inespressi.

Ed è evidente l’ascolto solo apparente quando, nelle conversazioni, le voci si sovrappongono nel dire[3], le risposte anticipano le domande e corrono il rischio di non soddisfarle.
Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono rivolti l’uno all’altro, protesi entrambi in modo benevole.
“Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore”. [4]
Ascoltare è predicato che mi chiede di fare spazio dentro di me, di sospendere il mio giudizio, di prendere le distanze dal pregiudizio; mi suggerisce attenzione, comprensione, partecipazione, condivisione. Ed è vero ascolto quando mi muove a dare accoglienza, esistenza, a riconoscere valore, a esprimere sostegno, a infondere coraggio.
Mentre rileggo mi accorgo che l’ho coniugato da me a fuori, da fuori a me, ma il primo ascolto non è forse quello che debbo a me stessa?
“… Il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme”.[5]
Il solo ascolto degli altri ci fa allontanare da noi, ci rende esterni ai nostri desideri, ma anche ai nostri problemi, li vela.
Il solo ascolto di noi ci fa estranei agli altri, a volte pure nemici.
Non so quale dei due movimenti nasca per primo, sono certa però che c’è vero ascolto se li esercitiamo entrambi.
Posizionati sui due versanti ne siamo modellati, ed è una fortuna poter iniziare sempre da capo nell’ascolto di sé e degli altri in un giusto equilibrio.
“T’ascolterei
come si ascolta un temporale
dopo mesi di aridità,
facendo attenzione
a non perdere
neanche una goccia di pioggia.”
Così scrive Fabrizio Caramagna, sottolineando come l’ascolto sia sollievo e nutrimento.
Esso si realizza solo in un tempo disteso e adeguato, senza premura, poiché nella fretta ci sfuggono elementi essenziali.
Tutti i sensi allertati nell’ascoltare ci fanno cogliere sfumature, posture, toni, gestualità, mimica, che dicono molto più delle parole pronunciate, taciute o sottintese.
“… L’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la conoscenza. Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita”.[6]
È un allenamento il divenire capaci di ascolto, mai raggiunto del tutto, perché sia noi, sia gli altri, cambiamo nel tempo e varia pure il linguaggio che usiamo. Ogni volta che ci rivediamo, siamo nuovi, direi che ogni mattina e ogni sera siamo diversi, e dobbiamo affinare il nostro saper ascoltare.
“Ognuno ha una storia che deve essere ascoltata per dare dignità a se stesso. Ognuno ha un suo modo di sentire e va cercata la giusta sintonia, la stessa lunghezza d’onda con l’altro”, afferma in un’intervista Cristina Bellemo[7] alla presentazione del libro “Eppure sentire”, dove, con la storia di Silvia, sottolinea l’importanza salvifica dell’ascolto.
Ed è George Marshall a suggerirci la formula per la relazione con il prossimo:
1° – ascoltare quello che dice l’altro;
2° – ascoltare tutto quello che dice l’altro;
3° – ascoltare prima quello che dice l’altro.
[1] Scrittore statunitense Chuck Palahniuk.
[2] https://www.letture.org/il-duologo-la-vita-del-dialogo-abraham-kaplan-giovanni-scarafile
[3] https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/ascoltare-l-altro
[4] https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/communications/documents/20220124-messaggio-comunicazioni-sociali.html
[5] https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/communications/documents/20220124-messaggio-comunicazioni-sociali.html
[6] https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/communications/documents/20220124-messaggio-comunicazioni-sociali.html
[7] https://www.difesapopolo.it/Media/OpenMagazine/Il-giornale-della-settimana/ARTICOLI-IN-ARRIVO/Eppure-sentire-di-Cristina-Bellemo-secondo-premio-al-Bancarellino

