Qual buon…sogno: Il filo di lana che tiene assieme il corpo
Un antico racconto proveniente dalla Francia dei primi secoli ci narra del sottile filo di lana che unisce e tiene insieme il nostro corpo. E quando quel filo si spezza? E se la nostra presenza divenisse più libera? E se quel filo una volta spezzatosi fosse ancora capace di raccogliere in unità questa nostra vita? La storia di Illidio, sembra illuminarci su questo punto.
Dopo molti anni gli fu chiesto dall’abate di ispezionare le reliquie di Illidio, collocate sotto l’altare, perché l’umidità del nuovo edificio, non le avesse fatte marcire. In effetti le trovò umide e le fece seccare al fuoco. Tuttavia mentre stava ricomponendo le legature che le teneva assieme, il filo con cui erano legate, cadde nel fuoco. Come se fosse stato di rame o di ferro, divenne incandescente. Credeva quindi che quel che rimaneva sarebbe stato troppo corto per tenere di nuovo assieme le reliquie, ma si accorse che invece era ancora intero. Vedendo questo ne fu stupito e ammirò la potenza del santo. Non senza stupore riportò questo fatto che mostrava a tutti la sua gloria, il filo infatti era di lana! (Dalla Vita di Sant’Illidio narrata nel Paterikon delle Gallie di Gregorio di Tours)
Tra i santi monaci che popolarono nei secoli le foreste di Gallia, Gregorio di Tours, ci narra la storia di Sant’Illidio, vissuto nel IV secolo, proprio agli inizi dell’esperienza monastica, divenuto poi vescovo di Clermont.
In realtà la storia che ci trasmette di lui è estremamente sobria, perché la narrazione che ce ne fa l’antico scrittore è talmente breve da essere raccontata solo attraverso un unico evento: l’incontro con l’imperatore a Treviri, per contrattare sui dazi che la città di Clermont doveva pagare. Di questa brevità se ne stupisce l’autore stesso riflettendo sulla scarsità di testimonianze che ha potuto raccogliere su quest’uomo: “perché le cose che san Illidio ha compiuto in passato sono state dimenticate e non ce n’è quindi giunta notizia? Forse per riportare quello che abbiamo visto con i nostri occhi, di cui abbiamo fatto esperienza”.
Talvolta ci fidiamo più di quello che pensa la maggioranza, invece della nostra propria constatazione e certo doveva essere così anche per i primissimi discepoli di Gesù che dovevano raccontare l’incredibile notizia della Pasqua. Allora ecco che Gregoria inizia a ricercare nella memoria il tempo in cui era ragazzo quando aveva conosciuto Illidio, ma a sorpresa scopriamo che Illidio in quel tempo era già morto! L’esperienza che Gregorio vuole narrare è quindi un’esperienza del tutto misteriosa, con un uomo che non è più fisicamente presente. Ci parla quindi di una sua guarigione che ha vissuto da ragazzo, un fatto classico nelle vite antiche, ma di cui ancora oggi tanti fanno in qualche modo esperienza, ma quello che nel testo è piu’ suggestivo è il secondo evento personale che narra, quello del filo e delle reliquie che ho riportato all’inizio dell’articolo.
Si tratta infatti come di una spiegazione metaforica di quella che è la morte e quindi spiega del perché il santo è capace di agire anche quando la sua presenza fisica viene a mancare. Si tratta di fondo di illuminare attraverso un racconto la logica della Resurrezione, ecco quindi che il riferimento all’esperienza personale non era casuale!
Il filo che teneva unito il corpo di Illidio era divenuto troppo corto e per il passare del tempo si era logorato fino a spezzarsi, ma nonostante questo attraverso la fede Illidio scopre che quel filo esisteva ancora ed è ancora capace di tenere insieme la presenza dell’antico santo. “Si accorse che era intero. Vedendo ciò ne fu stupito e ne ammirò la potenza”. Si tratta di stupirsi quindi e di entrare con gioia nella logica del possibile, nella logica della presenza, nella logica della unità, anche attraverso quei pochi elementi di certezza su cui talvolta riusciamo a fondarci.