Figure di dialogo: le chiese del Maghreb
C’è un sempre un vento nuovo che soffia sul Mediterraneo, anche quando le cose sembrano difficili e conflittuali. È quel soffio di stima tra le fedi che ha trovato la sua voce ufficiale nel Concilio Vaticano II. La Chiesa, con occhio rinnovato, ha imparato a guardare i musulmani con rispetto e a riscoprire una missione non più coloniale, ma di incontro e servizio per tutti, senza distinzione.
Con il tempo questo cambio di paradigma è sbocciato in luoghi concreti, dove il dialogo non è teoria, ma carne viva. Nelle Chiese del Maghreb, piccoli greggi “dispersi in un mondo musulmano”, si sta infatti, ormai da diversi anni, scrivendo una pagina inedita di fede e fraternità. All’interno della riflessione che sto conducendo sulle figure del dialogo, vorrei allora questa volta dedicare un po’ di attenzione non tanto a una figura specifica di dialogo, quanto a delle comunità.
Queste comunità non sono antiche cristiane ben radicate, né giovani chiese locali nate dal primo annuncio: la loro storia è unica.
Dopo l’esperienza complessa del periodo coloniale, e il “fallimento del modello di missione”, queste Chiese hanno trovato una nuova identità, forgiata nel pensiero di pionieri come Charles de Foucauld e Louis Massignon. La loro visione, basata sulla presenza discreta e sul rispetto dell’esperienza religiosa altrui, ha aperto la strada a un nuovo modo di essere Chiesa, poi ufficializzato dalla dichiarazione Nostra Aetate.
La loro singolarità risiede nell’essere composte prevalentemente da stranieri di molteplici nazionalità, presenti per un tempo limitato. Oggi, la composizione di questo “piccolo gregge” è in continua evoluzione, diventando un vero mosaico di speranza. Se un tempo erano europei impegnati nel servizio pubblico o privato, oggi una parte vitale e crescente è formata da studenti e migranti cristiani provenienti spesso dall’Africa sub-sahariana. Questa realtà le rende un ponte dinamico e multicolore, che unisce l’eredità del Mediterraneo con il mondo.
Non sono chiese potenti o maggioritarie; la loro forza non è nel numero, ma nella spiritualità. È la forza della gratuità del dono di Dio.
La loro vocazione è stata definita un “prolungamento del movimento dell’Incarnazione”, ispirata alla vita discreta e luminosa di Gesù a Nazareth. I Papi, ormai da alcuni decenni, hanno riconosciuto che l’incontro con la fede musulmana — i suoi “aspetti buoni e santi”, la sua fedeltà alla preghiera — può “stimolare… il senso dell’adorazione e della generosità verso Dio”, favorendo una più intima interiorizzazione della propria fede, sulle orme di figure mistiche come Charles de Foucauld.
Il dialogo, pur essendo un “cammino esigente”, è prima di tutto in queste chiese del Maghreb “un affare d’amicizia”. L’amicizia cresce nel tempo, condividendo gioie e preoccupazioni, costruendo legami sinceri.
La Chiesa in Maghreb incarna così una “vocazione ecclesiale particolare” che è una vera ricchezza per la Chiesa intera. Il suo messaggio si riassume in due parole chiave: Speranza e Pazienza.
Anche se la comunità appare debole, essa è “forte della libertà spirituale che l’anima” e del suo ruolo di ambasciatrice di Cristo, come uomo dell’incontro e amico dei fedeli dell’islam.
In un’epoca segnata da diffidenza e animosità, il “testimonianza disinteressato di amicizia e di convivialità tra cristiani e musulmani diventa un segno di speranza per il mondo intero”. Questo dialogo è un “cammino verso il Regno”, che rivela l’opera dello Spirito al cuore degli esseri umani e annuncia la tenerezza di Dio per tutti. È un invito a servire insieme il bene comune dell’umanità con pazienza e determinazione.
