I coriandoli, scherzosi protagonisti del Carnevale, fin dalle origini
Chi l’avrebbe mai detto che dei semplici coriandoli racchiudono un mistero tuttora insoluto?
I piccoli pezzi di carta colorata, che popolano le strade in questo periodo da icone del Carnevale, ma che poi a lungo ritroviamo tra tasche dei giubbotti, tappetini delle auto o semplicemente incastrati in qualche tombino, vantano una storia secolare, con dei natali ambigui.
Il nome trova radici nel Rinascimento, quando erano ancora dei confetti, realizzati ricoprendo di zucchero i semi (alcune fonti dicono i fiori, ma risulta più improbabile) della pianta del coriandolo. Venivano mangiati, ma anche lanciati alle persone in chiave scherzosa, durante le feste di carnevale. Tuttora, la parola “confetti”, in inglese e in molte altre lingue, significa “coriandoli”.
La loro forma cartacea, per come la conosciamo oggi, risulta invece contesa tra due creatori. C’è chi la rimanda all’idea di Enrico Mangili, ingegnere di Crescenzago (oggi un quartiere di Milano, all’epoca comune a sé) che nel 1875 decise di riutilizzare i tondini scartati dalle carte traforate usate negli allevamenti di bachi da seta come lettiere (la sericoltura era un’attività molto diffusa nella Lombardia dell’epoca). Tuttavia, nel 1957, radio Rai avanzò la testimonianza di un altro ingegnere, Ettore Fenderl. Triestino di nascita e vittoriese di adozione, egli rivendicava l’invenzione dei coriandoli di carta in occasione del Carnevale di Trieste del 1876, quando, allora quattordicenne, non potendosi permettere i coriandoli in modalità “confetti”, ritagliò dei triangolini di carta per gettarli sulla folla dalla sua finestra, che affacciava su Piazza della Borsa. Nella deposizione via radio, Fenderl ammise: «Il primo successo è stato disastroso, tra rimbrotti e grida delle ragazze coi coriandoli nei capelli, cosicché venne su una guardia a mettermi in contravvenzione e a sequestrarmi tutto».
Il dibattito rimane acceso, perché entrambe le soluzioni hanno poi avuto una storia di successo. Il primo (Enrico Mangili) passò dal regalare questi scarti cartacei dell’attività in filanda a produrli appositamente per la vendita, il secondo (Ettore Fenderl) continuò a ideare e progettare, soprattutto in campo edile e urbanistico, fino a ritirarsi a vita privata a Vittorio Veneto nel 1936, dove si interessò ad attività benefiche, istituendo con tali scopi la Fondazione Flavio ed Ettore Fenderl e indicando, nell’eredità, che i suoi terreni venissero impiegati per uso sociale (l’attuale Parco Fenderl). Oggi la sua tomba monumentale, nemmeno a dirlo da lui progettata, si trova nel cimitero cittadino di Sant’Andrea, dove riposa dal 1966.
I coriandoli, giocosi e multiformi protagonisti del Carnevale, non potevano che avere delle origini imprecise, che si prendono gioco di noi e del potenziale di conoscenza che abbiamo oggigiorno. Di sicuro, quel che resta è un insegnamento: stupisce, a ben pensarci, come l’ingegno sia derivante, nel primo caso, da un’intuizione di riciclo, dato che all’epoca i dischetti di scarto erano anche stati proibiti dalle autorità comunali per il loro fattore inquinante, nel secondo caso da una giovane mente desiderosa di partecipare a una festa senza avere la possibilità di “buttare” letteralmente denaro sotto forma di confetti. Oggi la tendenza nella proposta dei coriandoli è quella alla biodegradabilità, una legittima evoluzione che permette di festeggiare senza lasciare impronte dannose. Nemmeno per scherzo.