L’ira è convertita
(Il Tristano veneto)
Quando Tristano sentì che quel nemico voleva impedirgli di fare il suo dovere, lui si arrabbiò interiormente, il suo cuore si infiammo e dentro di sé fremeva… Quando però aprì la bocca non proferì insulti, ma disse con tono dolente, come se il suo cuore stesse gemendo: “Veramente tu sei uno dei cavalieri più crudeli di tutta Cornovaglia, ma se vorrai rendermi le mie armi…”.
Di Tristano si conosce la storia d’amore con la bella principessa Isotta, prototipo e modello di tutte le storie d’amore: il loro incontro frutto di un filtro magico, l’innamoramento, le prodezze eroiche… Quando però nel XV secolo, il racconto di Tristano, nobile cavaliere di re Marco di Cornovaglia, venne tradotto in lingua veneta l’interesse dei nobili veneziani si portò più sul valore psicologico e umano del prode cavaliere, e in particolare sulle sue doti politiche e strategiche, che non sulle sue gesta amorose.
A quanto pare, al tempo del nostro documento, le priorità formative erano infatti ben diverse da quelle dell’epoca dei primi romanzi del ciclo bretone, ma anche in questa versione tutta nostrana l’intento pedagogico è la buona notizia di questo racconto!
Non bisogna infatti perdere di vista che tutti i romanzi arturiani hanno come scopo principale quello di mostrare come il cristianesimo abbia saputo trasformare i comportamenti dei popoli barbari in veri e propri modelli di virtù. Così anche il caso del Tristano veneto non fa eccezione e l’autore vuole, com’era tradizione, presentare un cavaliere antico, figlio di un passato ormai lontano, protagonista di un mondo che sta scomparendo, ma soprattutto vuole rileggere questa figura mitica e interpretarla alla luce dei nuovi valori di determinazione e di spirito di contrattazione. Certo, come ogni buon cavaliere della Tavola Rotonda, anche il Tristano veneto non dimentica l’attenzione ai più deboli, la fedeltà a ideali grandi e luminosi…, ma qualcosa di nuovo lo accorda ben più profondamente con i pensieri che stavano occupando la Serenissima in quegli anni, impegnata nella costruzione del suo impero commerciale.
Così, quando guardiamo al brevissimo racconto che abbiamo riportato all’inizio, siamo colpiti dalla descrizione del movimento interiore per lottare contro l’ira.
Tristano freme, ma ci viene presentato mentre contiene questo tremendo movimento interiore. Quel che mi colpisce è soprattutto la tecnica che utilizza: modificare l’ira in lamento. Attraverso questo tentativo, a quanto pare riuscito, la parola viene comunque verbalizzata, ma senza quella drammatica forza distruttiva che è il proprio della parola irata. In questo modo Tristano mette in luce l’ingiustizia che sta subendo e per cui freme, ma senza passare dalla parte del torto attaccando o insultando. Il suo sforzo è quello di lasciare la possibilità al nemico di ritrattare, di modificare il suo atteggiamento. A ben guardare non si potrebbe nemmeno chiamare lamento, ma quasi tentativo di contrattazione e di conciliazione o almeno così credo che dovrebbero essere interpretate le parole: “Veramente tu sei uno dei cavalieri più crudeli di tutta Cornovaglia, ma se vorrai rendermi le mie armi…”.
L’ira, questo grande nemico dei cavalieri arturiani, è stata sconfitta e ora Tristano è pronto per continuare la sua ricerca, è pronto per mettere il suo braccio al servizio del debole e dell’uomo ingiustamente maltrattato. Vincendo la sua ira, Tristano può continuare la sua bella missione di paladino con un ostacolo interiore in meno e il cuore più libero!