Dal vago al concreto
Per una comunicazione costruttiva ed efficace
Quando lavoravo in Regione ero tenuta, come tutti i dirigenti, ad elaborare la valutazione annuale dello staff di cui ero responsabile. Incombenza che ho sempre faticato ad evadere, a causa della disarmante vaghezza dei parametri di valutazione: “Il dipendente ha dimostrato spirito di collaborazione con i colleghi?” e una sfilza di altre facsimili e standardizzate richieste, senza alcuna possibilità di apportare adeguamenti o concretizzazioni. Ma come misuro lo spirito di collaborazione, come si stima la precisione, come peso la correttezza?
Quando dal pubblico sono passata al privato, le cose non sono migliorate molto… Forse era così fino a 15 anni fa e adesso le valutazioni sono più adeguatamente strutturate, ma una cosa è certa: la fatica che facciamo a stabilire concreti parametri per valutare l’altrui operato è figlia dell’umana tendenza a pensare ed esprimerci secondo il nostro punto di vista, convinti che esso sia condiviso da tutti e, quindi, inequivocabile.
Così ci accade di etichettare un collega come “scansafatiche”; di pensare che il titolare “pretende troppo”; di definire un dipendente come “affidabile” o, al contrario, “incapace”.
Espressioni accomunate dalla vaghezza, che rende difficile comprendere il reale significato della dichiarazione, perché esso alberga solo nella testa di chi ha formulato la dichiarazione stessa. Questa modalità espressiva ha almeno due conseguenze:
- genera incomprensioni perché il ricevente, a sua volta, interpreterà quanto ricevuto secondo i suoi personali costrutti;
- rende inefficaci, se non impercorribili, eventuali tentativi di miglioramento (Come posso cercare di diventare più affidabile, se non so in base a che cosa vengo definito tale? Come posso abbassare la richiesta che i miei dipendenti ritengono eccessiva, se non so quale essa sia?)
Come uscirne?
Passando dal vago al concreto: preziosa competenza relazionale, come ben sanno gli studenti della nostra Scuola di Counselling, che la apprendono fin dal primo anno, imparando cosa significa essere fenomenologici.
Una espressione è fenomenologica quando è misurabile, secondo indicatori oggettivi e, quindi, inequivocabili. Pensate alla differenza tra dire “quella collega è una scansafatiche” e dire: “è arrivata per 10 giorni di fila con 15 minuti di ritardo”; oppure alla differenza tra dire al titolare che “pretende troppo da noi” e dirgli “per fare ognuna delle pratiche che mi ha richiesto ci vuole un’ora e mezza e lei me ne ha assegnate 10 chiedendomi di terminarle tutte entro oggi”.
Non facile, ma possibile: la prossima volta che vi rivolgete ad un collega, al titolare o ad un vostro dipendente, provate a domandarvi se ciò che state per dire è misurabile. E se non lo è, provate a trasporre la vostra dichiarazione in fatti concreti in cui l’altro possa riconoscersi.
E se vi trovate nei panni di chi riceve una dichiarazione vaga, ricordatevi che avete sempre la possibilità di chiederne la traduzione in esempi concreti.
dott.ssa Michela Camerin
(Docente Scuola di Counselling Situazionale di Conegliano)