Fare la differenza
Sentiamo spesso dire che il fattore umano fa la differenza. Ok, bella frase, ma cosa vuol dire? Il modo migliore per capirlo è fare un esempio concreto: la settimana scorsa sono entrato in una grossa azienda per la presentazione di un protocollo di comunicazione; lo strumento doveva servire a quella realtà di lavoro per presentarsi al mondo esterno attraverso post e messaggi (sul sito e sui social) che risultassero accattivanti, coordinati e costruiti da parte dei differenti ruoli aziendali secondo criteri di coerenza e pertinenza.
Lo strumento era già stato applicato con successo in altri contesti simili, era chiaro e concreto, e i suoi vantaggi erano evidenti.
O almeno così pensavo, perché dopo un breve accenno di presentazione, i dirigenti dei vari settori hanno cominciato a manifestare alcune resistenze, anche prima di averlo compreso fino in fondo. Queste le frasi da loro espresse: “non vorremmo fosse l’ennesimo carico di lavoro”, oppure “darà forse risalto ai titolari, ma a noi cosa ne viene?” e ancora: “ci si concentra sempre sull’immagine esterna anziché sulle necessità interne di chi lavora”, e via dicendo.
Era quindi evidente che, per quanto valido, lo strumento non avrebbe attecchito facilmente, appunto perché sull’analisi razionale ed economica stava prevalendo il “fattore umano”: sentimenti, timori, riluttanze, sospetti, e forse il ricordo di cattive esperienze precedenti.
Ho quindi scelto di sospendere la promozione del prodotto e la presentazione dei suoi vantaggi e di fare piuttosto appello alle competenze di counselling, offrendo ascolto e garantendo legittimazione a dubbi, malumori e resistenze.
Non sentendosi contrastati e ricevendo una serena accettazione dei loro punti di vista, i dirigenti hanno cominciato ad abbassare le difese, soppesare i “pro” insieme ai “contro” ed infine auto-convincersi della validità dell’offerta. Se, al contrario, mi fossi posto sulla difensiva (del prodotto o di me stesso), si sarebbe probabilmente innescato un meccanismo di competizione e avrei dovuto sudare sette camicie per ottenere un risultato molto inferiore, senza contare la sgradevolezza e la tensione che avrebbero caratterizzato l’incontro.
Ecco dunque un esempio di come il fattore umano possa fare la differenza e vada sempre riconosciuto, accolto ed elaborato. Non basta avere una buona idea o un ottimo strumento da proporre: è necessario che gli eventuali “mal di pancia” di chi ci deve lavorare ricevano riconoscimento, cura ed attenzione.
L’incontro, iniziato coi dirigenti “in allerta” e poco bendisposti, si è concluso con parole di apprezzamento non solo per la proposta operativa, ma pure nei confronti della “piacevolissima mattinata” (testualmente).
Padroneggiare le competenze relazionali consente di fare la differenza sia in termini di efficacia e produttività sia in termini di salute delle relazioni, ovvero di quel “fattore umano” così imprescindibile nella vita di ciascuno, anche in ambito lavorativo.
Dott. Marco Napoletano
(Direttore Scuola di Counselling di Conegliano)