Non solo canzonette: Enrico Nadai
“...c’è bisogno di una musica che pensi”.
In questi giorni in cui la musica è al centro dell’attenzione mediatica, noi abbiamo incontrato un artista che non si cura di mode e tendenze, infatti ha scelto di essere indipendente. Per cercare, osare, comunicare, al di là delle dinamiche del mercato musicale. Non vuole piacere a tutti i costi; vuole solo essere ciò che è: un cantante che pensa.
Lui è Enrico Nadai, classe 1996, originario di Farra di Soligo (TV). Figlio d’arte (padre violinista, madre cantante), all’età di 7 anni intraprende lo studio del violino ed entra a far parte della Piccola Orchestra Veneta, diretta dal padre, e formata da giovani musicisti di talento. A 12 anni comincia lo studio del canto e, dopo la partecipazione e la vittoria al concorso internazionale “Onde sonore” di Jesolo, viene notato dalla cantante statunitense Cheryl Porter. Giovanissimo approda a “Io Canto” e a “X Factor”. Incide diversi dischi, esibendosi in contesti televisivi e ottenendo la copertina su vari magazine. Intanto, sempre focalizzato sulla musica, Enrico Nadai cresce come artista, tanto da ricevere il plauso del paroliere Giulio Rapetti, in arte Mogol.
Sceglie poi la carriera da solista indipendente. Laureato in Filosofia, il cantante è prima di tutto un pensatore: esprime quello che pensa in musica e parole. La decisione di non affidare le proprie canzoni al monopolio delle grandi etichette del mercato musicale gli dà la possibilità di esprimersi senza alcuna pressione, facendo emergere, di volta in volta, ciò che più sente urgente e vero.
L’indipendenza lo porta a spaziare, anche tra diversi generi e stili, compreso il sacro. Il 20 dicembre 2011 viene invitato a cantare in mondovisione al Concerto per la Pace tenutosi a Betlemme all’interno della Basilica della Natività. Qualche anno dopo, con il brano “Santa famiglia di Nazareth”, partecipa al disco “Wake Up”, dedicato a papa Francesco e distribuito in tutto il mondo. Si è inoltre distinto negli anni per l’attività svolta in campo benefico, tanto da ottenere il Premio Civilitas Città di Conegliano «per aver reso la musica un progetto sociale, caratterizzato da disciplina, libertà, allegria ed empatia; per essere testimonianza di come i giovani sanno spendersi completamente, non solo con la testa e le mani, ma anche con la propria anima e il proprio cuore, trasformando semplici note in qualcosa di unico e irripetibile». La sua voce viene scelta come rappresentanza italiana nel progetto benefico internazionale, ideato dall’artista Graham Czach, dal titolo “One Human”, per promuovere l’unità globale attraverso la musica.
Da artista indipendente, nel 2018 Nadai pubblica il singolo, “With your Love”, brano che esprime una profonda ricerca spirituale, con arrangiamento musicale a cura del Maestro Dino Doni. L’inquietudine emotiva dà vita poi a “Sogni di carta”, che entra a far parte del primo progetto discografico intitolato “Canzoni per lei” (2019). Con la canzone “Margherita”, approda alla finale di Area Sanremo ed è tra i sessanta finalisti delle selezioni di Sanremo Giovani 2020.
Da oltre dieci anni, questo giovane talento solca i palchi di tutta Italia, con un bagaglio di oltre 700 concerti nelle più svariate occasioni: dalle circostanze più informali, ai palazzetti dello sport, dalle abbazie ai grandi teatri.
È molto bello che un giovane riesca a vivere della sua passione. Sì, perché oltre a cantare e a scrivere, Enrico trasmette ciò che più ama insegnando: come vocal coach in diversi istituti musicali e come professore di Filosofia a scuola.
Nel prossimo numero della nostra rivista, ci parlerà del suo ultimo singolo, “L’Era di Plank”, disponibile da dicembre 2022 su tutte le piattaforme streaming di musica.
Intanto, non possiamo non raccogliere il suo pensiero su quello che è l’argomento del momento: il Festival di Sanremo 2023. Questa ed altre curiosità…
In questi giorni l’attenzione di tutti è rivolta alle nuove canzoni lanciate sul palco dell’Ariston. Chi ti ha convinto?
Qualcuno dirà di me quanto si dice della volpe che, non riuscendo ad arrivare all’uva, la disprezza. Eppure, non ho trovato ci fossero brani travolgenti. Vale anche per Mengoni: ritengo abbia trionfato per la sua dote canora (che è già una gran cosa), più che per l’originalità della proposta musicale. Piacevolissimo, invece, nel suo tono anti-romantico, il brano “Splash” di Colapesce e Dimartino.
Per il resto, a vincere sono sempre lo spettacolo infimo e le polemiche. Qualche giorno fa ho sentito un opinionista furioso contro tutti coloro che provano disaffezione verso il festival; c’è invece da ravvisare che non sono in pochi a tenersene distanti, probabilmente considerando il tutto un fenomeno di costume, più che un luogo di alta fruizione culturale. Dopotutto, quando l’idea che concorrenti, ospiti e organizzatori hanno di cultura – che etimologicamente indica il “coltivare” – corrisponde ad accrescere ciò che di peggio c’è in noi (episodi di oltraggiosa bassezza sono stati frequenti anche quest’anno), allora è opportuno centellinarne la visione. L’auspicio è che non debba essere ogni anno così!
A distanza di tempo, la tua esperienza a Sanremo Giovani 2020 cosa ti ha lasciato?
Il brano “Margherita” fu tra i sessanta selezionati. Poi non raggiunsi l’ulteriore scrematura (quella televisiva). La “Rotbaum Records”, casa discografica dei miei amici e collaboratori, si era appena formata: fummo felici del traguardo. Cercai di sbrigare tutto l’interminabile iter burocratico in pochissimi giorni, occupato tra studio e attività lavorative. Inoltre, dovetti fare un veloce ma intenso lavoro su me stesso, per superare lo stato d’ansia che mi generava (e mi genera tuttora) la visione delle telecamere. Sembrerà strano, ma negli anni ho involontariamente maturato questa sorta di, chiamiamola pure, “avversione”. In quell’occasione riuscii ad abbattere questo timore.
In generale, cosa pensi dell’attuale panorama musicale?
È vastissimo, difficile darne un giudizio unitario. Spesso si trovano bellezza, conforto e veracità anche tra parole e note di autori poco conosciuti, del passato e del presente. Bisogna avere la pazienza di ricercare. Il cantante, ricordava Sgalambro, può convincere delle sue tesi senza argomentarle. Il filosofo no. Questa è una grossissima responsabilità, di cui pochi autori e interpreti sono consapevoli. Ad oggi, c’è bisogno di una musica che pensi.