Tanto di cappello
È incredibile come la necessità aguzzi l’ingegno, come dice l’adagio, fino a che non trovi la soluzione a un tuo problema.
Se poi questo significa anche scoprire un accessorio bello e utile, di cui ignoravi l’esistenza, beh, allora tanto di guadagnato.
Mi spiego meglio. Anni fa, mi trovavo in quel di Verona, con un’amica, nel mese di luglio e girando per la città il sole picchiava non poco. E così, arrivate in Piazza delle Erbe, ecco davanti a noi il mercatino che la popola abitualmente. Gira e gira fino a che non ci fermiamo difronte a una deliziosa bancarella che vendeva cappelli e tra questi, anche quelli in paglia. La soluzione perfetta, declinata in una delicata fantasia azzurrina. L’alleato ideale contro la calura estiva. Curioso che anni dopo mi sia imbatta in un servizio del programma di Rai 3 Geo per scoprire che esiste addirittura un museo dedicato a questo accessorio.
Si trova a Montappone, in provincia di Fermo, nelle Marche, in un distretto che comprende anche i comuni di Massa Fermana, Monte Vidon Corrado e Falerone, un’area nella quale ancora oggi, l’eccellenza è proprio la produzione di cappelli di paglia.
Siamo in una zona d’Italia che è rimasta a vocazione agricola, lontana dal turismo di massa e conserva buona parte delle tradizioni manifatturiere del passato. Dove per passato si intendono gli anni immediatamente successivi all’ultima guerra mondiale.
In un’Italia contadina, nelle aie delle fattorie si trovava paglia in gran quantità, che servisse ad alimentare gli animali o a creare la pavimentazione per le stalle. Aggiungiamo che, secondo quella bella abitudine di non buttare nulla in vista di un possibile riutilizzo, capitava che, quando il tempo si metteva di traverso e non si poteva lavorare nei campi, le famiglie trovassero rifugio nelle stalle, dove, cosa non da poco, si stava anche al caldo.
Così, intrecciando i fili di paglia, iniziarono a prendere forma i primi cappelli.
A farla da padrone era principalmente la manualità, alla quale poi si sono aggiunti altri strumenti per domare gli steli utilizzati, a seconda del cappello che si andava a creare. Sì, perché oltre ai modelli più semplici, da portare tutti i giorni, si creavano anche quelli un po’ più eleganti, magari da abbinare a quello che una volta era il “vestito buono”.
La fotografia ha poi documentato intere famiglie al lavoro, circondate da tutti i cappelli prodotti, da uomo, da donna e da bambino oltre alla vasta gamma degli strumenti utilizzati.
Tutto questo è oggi il Museo del cappello, nato per dare testimonianza alle giovani generazioni di un passato che ha saputo diventare futuro e che si è aperto anche all’arte.
Come? Diventando anche uno spazio che può ospitare mostre temporanee così come una mostra permanente dal titolo “Marche, tanto di cappello”, un progetto inventato da Giuliano De Minicis nel quale alcune eccellenze del territorio sono state chiamate a dare vita a un cappello con i materiali che gli erano propri. Sono nati così i cappelli nei materiali più disparati come il vetro, la pelle, il tessuto e perfino il cibo.
Materiali diversi per celebrare l’accessorio più semplice, fatto con il materiale più semplice che la natura riesce a metterci a disposizione.